mercoledì 7 novembre 2012

Ilva, cassa integrazione per 2000 addetti

L’azienda sfida il governo: rispettiamo le prescrizioni ambientali se ci restituiscono
gli impianti
Operai dell’Ilva di Taranto al lavoro
TARANTO
Ufficialmente il motivo è la crisi: «A causa del perdurare della crisi di mercato già registrata a partire dal primo trimestre dell’anno corrente..». In realtà, l’annuncio della direzione dello stabilimento dell’Ilva di mettere in cassa integrazione 2.000 dipendenti (per 13 settimane) a partire dal 19 novembre, potrebbe essere interpretato come un «segnale politico», un tentativo disperato di ribaltare il tavolo a proprio vantaggio, nel giorno in cui scadono i termini per la presentazione del piano attuativo dell’Autorizzazione integrata ambientale, l’Aia.
In zona Cesarini, intorno alle 18 di ieri pomeriggio, a poche ore dalla scadenza dei termini entro i quali l’Ilva avrebbe dovuto presentare il piano attuativo dell’Aia, Autorizzazione integrata ambientale, l’azienda ha sfidato il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, inviandogli poco più che un comunicato stampa articolato, nel quale si impegna ad applicare le prescrizioni dell’Aia, a condizione che abbia la piena disponibilità degli impianti oggi sotto sequestro.
In una nota molto imbarazzata, il ministero dell’Ambiente comunica di aver ricevuto «la lettera, firmata dal presidente della società, Bruno Ferrante, e dal direttore dello stabilimento, Adolfo Buffo, con cui l’Ilva dà riscontro all’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) per l’acciaieria di Taranto. Il documento è all’esame degli uffici del ministero». La nota del ministero sottolinea che «il rispetto delle prescrizioni dell’Aia, peraltro immediatamente operative, è un obbligo di legge il cui mancato rispetto è sanzionabile». E già oggi il ministro dell’Ambiente Clini potrebbe essere costretto a dichiarare che il piano «non è la risposta prevista dalla legge».
Prima che fosse consegnato la lettera , il ministro Clini ragionava: «Non posso escludere neppure che dovrò rivolgermi all’autorità giudiziaria per far rispettare la legge». Ieri, è stata una giornata ad alta tensione per l’Ilva. Intanto l’annuncio della cassa integrazione ha fatto gridare al miracolo, perché dopo mesi di polemiche al vetriolo, i tre sindacati di categoria, Fim-Cisl, Uilm-Uil e Fiom-Cgil si sono ricompattati nel respingere la proposta di cassa integrazione.
«Non c’è discussione che tenga – ha detto Mimmo Panarelli, segretario della Fim-Cisl – poiché l’Ilva, ancora oggi, non ha reso nota la propria volontà circa il piano di investimento per la messa a norma degli impianti». Donato Stefanelli, Fiom-Cgil: «Il presidente dell’Ilva Ferrante e la famiglia Riva devono dichiarare i propri impegni».
In realtà, anche le dichiarazioni sindacali sono state superate dagli eventi. Perché la sfida dell’Ilva al ministero dell’Ambiente può essere stata dettata da una duplice motivazione: la necessità di strappare i finanziamenti per pagare il risanamento degli impianti; la volontà di ritornare in possesso degli impianti sequestrati, imponendo al governo un provvedimento di legge che superi gli ostacoli della inchiesta giudiziaria.
Intanto l’azienda ha annunciato la cassa integrazione per 2.000 lavoratori dell’area a freddo, cioè di quei reparti non interessati al sequestro giudiziario perché inquinano: il tubificio 1 e 2, rivestimenti, treno nastri 1, treno lamiere, officine centrali di manutenzione e una parte della laminazione a freddo. Ma fino al 19 novembre tutto può accadere.

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